La scuola e i conflitti tra docenti, allievi e genitori
La scuola è un agenzia culturale, di crescita, di formazione, di educazione, di socializzazione. Di conseguenza luogo di relazioni varie e complesse; tra ragazzi e ragazzi, tra ragazzi e insegnanti, tra insegnanti e insegnanti, tra insegnanti e famiglie.
In questo incrocio di relazioni, vissute naturalmente in tutte le attività scolastiche, possono emergere forti differenze di vedute, dissapori, antipatie, gelosie, recriminazioni per ingiustizie subite. Fra l’altro, è da dire che i ragazzi , specie nelle scuole italiane, rimangono insieme per anni. Con il vantaggio di intraprendere legami amichevoli e duraturi, ma anche di esporsi a situazioni conflittuali.
Il conflitto, anche a scuola, non sempre è da evitare tout-court, e tanto meno da criminalizzare; in quanto spesso porta dei vissuti forti, legati a dei bisogni non “nutriti”. In cui giocano emozioni forti, ma anche credenze, valori e opinioni. Dove le componenti emotiva e ideale sono legate a doppio filo; ovvero, anche nel conflitto non c’è emozione che non sia diretta da una credenza o da una convinzione, e non c’è idea o credenza che non appoggi su una emozione che la animi.
I conflitti più frequenti e la risposta della scuola
Conflitti tra studenti
Particolarmente frequenti, i conflitti tra i ragazzi -per lo più adolescenti- sono in qualche modo naturali; in quanto modalità di affermazione e definizione di una identità che ha bisogno di affermarsi e imporsi.
Le occasioni sono le più varie, e spesso apparentemente futili.
A dirigere il comportamento sono spesso dei modelli di riferimento visti in famiglia o socialmente “vincenti”; ritenuti funzionali a un’immagine “accettabile” e a “fare gruppo”.
In alcuni casi tali conflitti diventano particolarmente cruenti; con conseguenze sul clima di convivenza in classe o nell’intera scuola. E con ricadute anche fuori dalla scuola e in famiglia.
Non sempre il conflitto tra ragazzi è visibile o percepibile; e ancor meno è agito fisicamente. Il più delle volte si manifesta con battute, occhiate, prese in giro, diffusione di notizie infamanti, esclusione ed isolamento di qualcuno, ritorsioni, insulti. Che in molti casi si protraggono nel tempo (settimane o mesi). Che porta, il più delle volte, a reazioni uguali e contrarie o “vendette” agite nel tempo; per regolare i conti e “farsi giustizia”.
Il conflitto, specie tra ragazzi, non è da rigettare toutcour. Può essere l’occasione per mettere in campo dei vissuti forti, sia da un punto di vista emotivo, che ideale. Si tratta di bisogni che non hanno trovato altri canali per emergere e farsi valere. E che chiedono solo di essere accolti; specie da parte di chi ha ruolo e responsabilità educativa.
Conflitti tra allievi e insegnanti
Particolarmente significativi i conflitti tra allievi e insegnanti.
Per lo più non violenti, si tratta di incomprensioni, frustrazioni, “ingiustizie” subite, che si verificano in tutte le attività. Una promessa non mantenuta da parte dell’insegnante (non stare ai patti è una delle cause più frequenti di conflitto), il professore inflessibile che non accetta di discutere o che perde la pazienza, che giudica male un ragazzo che si espone spesso a “dire la sua”, il rifiuto di spiegazioni riguardo a un voto percepito come ingiusto, manifestazioni di antipatia verso un allievo o di preferenza verso un altro, sono frequenti occasioni di conflitto.
Riferimento ed esempio per gli allievi, l’insegnante ha un ruolo di grande responsabilità; per cui ogni sua proposta, decisione, espressione, comportamento hanno conseguenze importanti, di cui sarebbe bene avere consapevolezza.
Conflitti tra docenti
Anche fra docenti può esserci conflittualità: nel collegio dei docenti, nel consiglio di classe o interclasse. Il confronto e la dialettica tra vedute diverse non sempre avviene in maniera pacata, o sul merito delle questioni; ma può avvenire con attacchi personali dovuti a pulsioni, gelosie, risentimenti, antipatie, ripicche, sfide. Col risultato di inasprire gli animi e di stare rigidi sulla propria posizione.
Ciò è dovuto al fatto che gli insegnanti sono particolarmente esposti a situazioni critiche e stressogene. E inoltre, come tutti, anche loro possono avere difficoltà ad esprimere malessere ed emozioni in modo tranquillo ed assertivo. Per via di una mancata acquisizione di strumenti utili a una comunicazione efficace.
Conflitti tra insegnanti e genitori
Anche tra insegnanti e genitori, eletti o no negli organi collegiali, può esserci contrapposizione: sulla disciplina, sui voti, sulla comunicazione.
La critica di un genitore spesso è vissuta dagli insegnanti come un dubbio sulle loro competenze, o come intrusione nel loro ruolo.
E i genitori possono sentirsi accusati di incompetenza educativa.
Conflitti con il dirigente scolastico
Diverbi o conflitti possono insorgere anche con il dirigente scolastico.
Leader istituzionale, il dirigente scolastico dovrebbe avere competenze per analizzare eventi e situazioni critiche, anche sul nascere; e il potere per intervenire.
Con l’obiettivo di favorire un clima positivo a tutti livelli.
Vista la responsabilità che investe la sua carica, un conflitto con il dirigente scolastico può avere ripercussioni notevoli su tutte le relazioni a scuola.
Vessazioni e violenza: il bullismo a scuola
Il bullismo appare oggi tra le realtà più problematiche nelle relazioni tra ragazzi a scuola; una vera emergenza in alcune zone d’Italia.
Si parla di bullismo a scuola quando un ragazzo o un gruppo compie, intenzionalmente, atti di vessazione, violenza fisica e/o psicologica, umiliazione, persecuzione, presa in giro, ai danni di un compagno di classe o d’istituto. Non si fa riferimento a un singolo atto, ma a una esposizione nel tempo (settimane, mesi, talvolta anni) ad azioni di bullismo.
Misure messe a punto dalla scuola -come i test anonimi- rivelano che un ragazzo su quattro ha subito almeno una volta, nella carriera scolastica, vessazioni ed umiliazioni riconducibili al bullismo.
Il bullismo non è un conflitto in senso proprio; ma un atto di prevaricazione e di violenza, in quanto è caratterizzato da una marcata asimmetria di relazione; ovvero si realizza in uno squilibrio di forza, di potere e di “popolarità”.
Al punto che la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare; perché teme ritorsioni e vendette, ma anche perché ha vergogna a rendere pubblica la sua “debolezza” e “inferiorità”.
La condizione di vittima
Le conseguenze fisiche e psicologiche, per la vittima, sono notevoli: tensione, insofferenza, rabbia repressa, chiusura in se stessi, mal di testa, deconcentrazione, isolamento, frustrazione, disturbi del sonno, disturbi alimentari.
A far soffrire di più è la vergogna e l’isolamento, che non consente di comunicare, di condividere una condizione terribile per chi la subisce. Perché nessuno ammette di essere un perdente, specie in un’età caratterizzata dal bisogno di affermare se stessi, anche tramite competitività ed esposizione di forza fisica.
Esiste anche una forma di bullismo più indiretto -il più diffuso- come l’esclusione dal gruppo o la diffamazione protratta, che difficilmente arriva all’attenzione di professori o genitori. E porta generalmente la vittima a rinunciare a farsi ascoltare o a denunciare. Se mai, in taluni casi, prova a farsi giustizia da sé, ma con poco successo; anche perché, il più delle volte, si trova in netta minoranza rispetto a un gruppo “branco” dominante.
In questa categoria rientra il cyberbullismo, che vista la diffusività e velocità dei mezzi informatici trasmette in tempo reale immagini e notizie infamanti; da cui è davvero arduo difendersi.
Spesso il senso di prostrazione, di fallimento, di dolore è così forte che porta molti ragazzi-vittime a fare scelte gravi, come l’abbandono scolastico, il trasferimento ad altra scuola o ad altra regione e, in casi estremi, a togliersi la vita. Anche se, riguardo al suicidio, non esistono dati certi che provano un legame diretto – ed esclusivo di altre cause – col bullismo.
Il diritto all’accoglienza di bulli e vittime
Anche riguardo al bullismo vale la considerazione che, se dei ragazzi arrivano a mettere in atto dei comportamenti violenti e spietati, è perché non ancora in grado di affermare se stessi, i propri bisogni, una immagine “vincente”, con modi più adeguati e rispettosi.
Per cui anche un bullo, dal punto di vista di chi ha a cuore l’educazione e il benessere dei ragazzi, ha diritto ad essere accolto con la sua storia personale, le sue fragilità, le sue difficoltà relazionali; al di là della maschera da duro e violento.
Parallelamente anche il ragazzo-vittima ha diritto ad essere accolto con tutti i suoi bisogni: di rassicurazione, di appartenenza, di fiducia in sé, di affermazione di sé con coraggio ed orgoglio. E ad essere aiutato e sostenuto in un momento della vita particolarmente drammatico.
Inoltre, chi ha ruolo e responsabilità educativa a scuola, dovrebbe nutrire fiducia che un percorso di recupero –sia personale, che nella qualità delle relazioni e della convivenza- deve essere possibile. Anche nelle situazioni più estreme; che vedono da un lato l’esclusione e l’umiliazione della vittima, e dall’altro il comportamento asociale del bullo.
La disciplina
Un conflitto può innescarsi anche con dei segnali di sfida; sia verso un compagno di classe, sia verso l’insegnante. La sfida è un gioco potente, che i ragazzi naturalmente tendono a fare, specie in età adolescenziale, come modo per affermare se stessi.
Da insegnante, come mi pongo di fronte a un allievo che “mi provoca”? Cosa attiva in me questa provocazione? Come vivo il mio ruolo in quel particolare momento? Che parole uso?
E’ da dire che l’insegnante, in certi frangenti, è solo davanti alla classe che lo osserva e che lo sfida.
Le risposte che normalmente prevalgono sono di tipo disciplinare; così come è sempre stato. E hanno come obiettivo una sorta di “ordine pubblico riparatore”, come argine al disordine innescato da un conflitto.
Ma qual’è il risultato di una risposta punitiva? Mentre nell’immediato ricostituisce un ordine nelle cose, nei ruoli e nella gerarchia; via via attiva una sorta di corto circuito di reazioni alla risposta punitiva; spesso vissuta, da chi la subisce, come profondamente ingiusta.
Un ragazzo che viene punito, magari con una sospensione, non si sente compreso nelle sue motivazioni e nei bisogni che l’hanno spinto a un determinato comportamento; che spesso è reattivo a un’offesa subita.
Le vie legali
Spesso col ragazzo si schiera la famiglia; con i genitori che vedono il figlio come particolarmente frustrato perché “ingiustamente punito”, o perché “l’unico che paga per tutti”.
Per cui la scuola viene a trovarsi dentro una controversia; con le due parti “l’una contro l’altra armate”. Pervenendo in molti casi alle vie legali.
Cosa succede in quel caso? In una causa tra scuola e famiglia una parte vincerà sull’altra. Se a vincere è il ragazzo -che risulta aver subito un grave torto- si sentirà riscattato rispetto a una punizione “ingiusta”, si sentirà rispettato e farà esperienza diretta dell’essere soggetto di diritti.
Possiamo quindi dire, in prima istanza, che la denuncia alle autorità competenti ha un suo senso. Ha un valore civile e di tutela dei diritti di ognuno; ed è un’ occasione per ottenere giustizia.
Merita una segnalazione particolare la recente (dell’8 giugno ’17) sentenza di condanna definitiva (dieci mesi di carcere) per atti di bullismo di un ragazzo di una scuola di Napoli. La Corte di Cassazione si pronuncia in questo modo: “Insipienza di quanti dovevano controllare, ma non si accorsero di nulla”.
Ovvero, va bene la legge; ma ancor prima ci si aspetterebbe attenzione e interventi da parte di chi, nella scuola, ha ruolo e responsabilità.
I limiti di una soluzione disciplinare
Ma, a ben vedere, possiamo tutti noi che abbiamo a cuore il benessere dei nostri ragazzi, ritenerci soddisfatti se, per vie disciplinari o legali, c’è una parte che vince e una che perde a seguito di un conflitto?
Chi vince può ritenersi soddisfatto e vede riconosciute le proprie ragioni.
Chi perde, invece, non è detto che ritenga risolta la vicenda; anzi, per lo più prova un senso di frustrazione, di umiliazione e di sconfitta per non essere stato compreso nelle sue “ragioni” e nei suoi bisogni. Può avere la percezione di una vendetta subita, e patire una riprovazione della comunità scolastica che ha la forma di una “lezione” cruenta, umiliante e ingiusta. Può sentire di subire una condanna imposta dall’alto; da un’autorità che vede come un’entità impersonale..
Ebbene, tale stato d’animo può alimentare -nel tempo- rancore, spirito di rivalsa o di vendetta, che aspettano solo l’occasione per esplodere e colpire.
Allora non si può non ammettere che le misure disciplinari o legali, in un’agenzia educativa quale intende essere la scuola mostrino, specie nel lungo termine, la loro insufficienza e lascino da parte tutta una serie di aspetti, nelle relazioni a scuola, che richiedono attenzione e cura da parte degli insegnanti-educatori e dei dirigenti.
La mediazione a scuola: una risposta creativa per allievi e docenti:
La mediazione a scuola e la filosofia del win-win
Win–Win. Vincente–Vincente. Ovvero quando, a seguito di un conflitto, non c’è chi vince e chi perde, ma vincono entrambe le parti. Perché entrambe le parti sono state viste, ascoltate nelle loro ragioni e non giudicate. Ciascuno ha imparato a guardare all’altro per quello che è: diverso nelle percezioni, nelle idee, nei bisogni, nei valori, nelle emozioni e nei sentimenti. E ha imparato a “validare” ciò che appartiene all’altro: sei diverso da me, ma la tua diversità ha un senso e una ragione d’essere. E questa diversità non mi disturba più come prima.
Questa sorta di trasfigurazione, di trasformazione dei nostri atteggiamenti abituali di fronte a un conflitto, è ciò che avviene grazie alla mediazione. Ovvero, quello strumento che consente di attraversare il conflitto, non solo come luogo in cui “giocano” emozioni negative (talvolta devastanti), ma anche come occasione di crescita in cui mettere in campo i nostri bisogni e le nostre ragioni; imparando sia ad esprimerli, che a riconoscere ed ascoltare quelli degli altri, andando oltre lo scontro.
Riconoscendo che, se si è arrivati allo scontro, è perché non si è riusciti a fare di meglio. In quanto, in assenza di una educazione emotiva, abbiamo difficoltà ad esprimere in modo chiaro e rispettoso i nostri bisogni; per cui può accadere, per forza di cose, che questi emergano in occasione di un conflitto, sebbene in modo distorto o aggressivo.
Un’occasione per discutere le proprie ragioni e trovare un'intesa
La mediazione è quello strumento per cui le parti in conflitto si riuniscono intorno ad un tavolo per discutere e mettere in campo, ciascuno, le proprie ragioni e argomenti oggetto del conflitto; alla presenza di un mediatore, come figura terza equivicina a entrambe le parti, che li aiuta e li affianca, con l’obiettivo di trovare un’intesa che soddisfi entrambi.
La mediazione è una modalità diversa -e più creativa- di gestire il conflitto; oltre la polarità dello schema vincitore – vinto. In quanto entrambe le parti hanno pari diritto ad essere riconosciute ed ascoltate nelle loro ragioni. E di conseguenza ottengono entrambe dei vantaggi da un eventuale accordo.
La mediazione è una forma particolare di counseling; in quanto relazione d’aiuto counsiliare, orientata alla gestione di un conflitto. Con la particolarità che la mediazione, oltre gli scopi propri del counseling (cfr), ha un obiettivo finale specifico, che è la risoluzione pacifica del conflitto e l’accordo tra le parti.
La mediazione offre, alle parti in conflitto -che possono essere due ragazzi, ma anche un ragazzo e un insegnante, o due insegnanti- uno spazio “protetto” e un tempo dove potersi esprimere con la migliore comunicazione e comprensione di se stessi e dell’altro.
Aiuta a vivere i conflitti in modo costruttivo, creativo, intelligente, conveniente per il benessere generale delle persone.
Obiettivi della mediazione nei conflitti scolastici
Un conflitto ben gestito in mediazione può essere l’occasione per mettere in campo bisogni ed esigenze, che nella normale routine della scuola non emergono.
Un ragazzo che ha un problema con il suo professore, per cui si sente sottovalutato, non rispettato, come preso di mira può trovare, sempre a scuola, un ambiente protetto e “privilegiato” dove potersi sentire “in pace” davanti a un mediatore di fiducia. Di fronte al quale poter stare e potersi esprimere liberamente per la prima volta; senza quella maschera che costituiva la forzatura di un “ruolo” da duro, o da vittima, esibito davanti ai compagni e ai professori.
Il momento in cui cade la maschera è cruciale per lasciarsi andare, per allentare le difese e dare inizio a un’osservazione di sé -facilitata dal mediatore- che permette l’avvio di un cambiamento. Il silenzio o la commozione conseguenti -probabilmente mai vissuti in termini positivi dai ragazzi- possono far sperimentare un’intimità con se stessi.
Come un’empatia data a se stessi; che aiuta a riconoscere quelle emozioni “negative” che prima venivano attribuite solo all’altro “brutto sporco e cattivo”. E allora l’altro inizia ad apparire più vicino alla mia condizione, più simile a me umanamente. Fino a iniziare a concepire una nuova modalità di relazione; improntata alla collaborazione e all’armonia.
E’ da dire che quando la mediazione a scuola raggiunge questo obiettivo costituisce un grande risultato anche in termini educativi.
Vantaggi delle mediazione: per i ragazzi
Grazie alla mediazione i ragazzi imparano ad avere un’immagine più chiara di sé e dei propri bisogni.
Imparano a confrontarsi con la diversità degli altri, che può essere un colore diverso di pelle, un fisico che non corrisponde ai “canoni”, un carattere particolarmente riservato, dei gusti sessuali “diversi”.
Imparano ad esprimere opinioni ed emozioni, anche “scomode”, in modo chiaro, assertivo e rispettoso di chi non la pensa allo stesso modo.
Imparano i benefici della collaborazione; improntata alla comprensione e all’empatia, in tutte le relazioni.
Per cui, se due o più ragazzi in una scuola vivono con successo l’esperienza della mediazione, trasmetteranno al gruppo classe innanzitutto, ma anche oltre la classe, un modo diverso -più tranquillo, più aperto, più creativo, più collaborante- di vivere le relazioni. Con ricadute positive a tutti i livelli.
Vantaggi della mediazione: per i docenti
Anche i docenti possono beneficiare della mediazione. Sia tramite un coinvolgimento diretto, sia avendo a che fare con ragazzi che ne hanno fatto esperienza.
Essa può rappresentare, per un insegnante, oltre che il luogo “protetto” dove risolvere un conflitto, anche occasione di ripensamento riguardo al proprio ruolo. Su come in molte situazioni non si riesce a dare ascolto ai bisogni dei ragazzi; specie quando si nascondono dietro atteggiamenti provocatori e indisponenti. La difesa a oltranza del proprio ruolo -enfatizzato in termini di rapporti di potere- è spesso la prima reazione di fronte a una provocazione. Ma è anche vero che questo significa, il più delle volte, ricorrere a misure disciplinari; le quali, come si è detto (cfr La disciplina), ha l’effetto immediato di “mettere a posto” le cose, ma alla lunga crea distanza, rigidità e diffidenza nella relazione con i ragazzi.
Se di fronte ad una provocazione un insegnante riesce a fermarsi, a stare in ascolto e in osservazione delle proprie emozioni, ha già creato quella condizione che gli consente di provare a gestire il conflitto in modo più creativo; magari provando ad esprimere con autenticità quello che sente e a confrontarsi con le percezioni di un intera classe; volente o nolente coinvolta. Pervenendo a una soluzione sufficientemente buona per tutti.
Ciò è possibile se non si pone sulla difensiva, se non prende l’”attacco” in termini personali; perché la rabbia di un ragazzo, che si sente frustrato o trattato ingiustamente, è diretta prevalentemente al ruolo e al potere che il professore rappresenta, non alla sua persona; anche se di questo non è consapevole.
Un insegnante autorevole, a mio parere, può essere in grado di accogliere la sfida di un allievo e di ”assorbire”, almeno in parte, la rabbia e il dolore che vi sono sottesi; propri di chi vive un momento di difficoltà, ed è più debole culturalmente ed emotivamente e senza potere.
Ciò avrà ricadute positive in tutte le relazioni; anche nei rapporti con i genitori, che potranno vedere l’insegnante come autorevole, competente anche nella relazione e rassicurante
La mediazione secondo Jacqueline Morineau
Jacqueline Morineau rappresenta la figura d’elezione della mediazione di orientamento umanistico. Archeologa di formazione, basa il suo metodo e stile di mediazione sulle dinamiche proprie della tragedia greca. Per maggiori informazioni clicca qui.